parrocchia Santa Maria Assunta di Paderno d'Adda

 

  

                       don Antonio Caldirola

 

 Per leggere il bollettino di aprile  2024  clicca qui 


Visita il nuovo sito dell'oratorio a questo indirizzo:      http://www.oratoriopadernodadda.it/                       

 

 

 

 

 

    

PADERNO D’ADDA

In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Paderno d’Adda con 949 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento III di Brivio, circondario III di Lecco, provincia di Como.

Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il comune aveva una popolazione residente di 1.013 abitanti (Censimento 1861). Sino al 1863 il comune mantenne la denominazione di Paderno e successivamente a tale data assunse la denominazione di Paderno d’Adda (R.D. 8 febbraio 1863, n. 1192). In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867). Popolazione residente nel comune: abitanti 1.054 (Censimento 1871); abitanti 1.168 (Censimento 1881); abitanti 1.564 (Censimento 1901); abitanti 1.748 (Censimento 1911); abitanti 1.767 (Censimento 1921). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Lecco della provincia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Nel 1928 il comune di Paderno d’Adda venne aggregato al comune di Robbiate (R.D. 31 maggio 1928, n. 1514).

Comune collinare, dalle antiche origini romane, che fonda le proprie basi economiche sulla felice coesistenza di attività agricole, industriali e commerciali. I padernesi, che presentano un indice di vecchiaia nella media, sono distribuiti nel capoluogo comunale e nelle frazioni di Cascina Brugnè e Cascina Fornace. Il territorio, dal profilo geometrico leggermente ondulato, è caratterizzato da dolci rilievi che si affacciano sul fiume Adda laddove questo scorre con gorghi e cascate, incassato tra alte pareti scoscese. Molti scrittori ed artisti si sono ispirati ai panorami offerti dal fiume e qualcuno ha sostenuto che Leonardo da Vinci ha preso spunto da questi luoghi per dipingere lo sfondo della sua "Gioconda". Il centro abitato, in attiva espansione edilizia, presenta un andamento plano-altimetrico variabile, dato dalle colline sulle quali, nel tempo, sono state costruite ville con bellissimi giardini.

 

Storia

 

Il toponimo è di sicura radice latina: secondo alcuni storici potrebbe derivare da PATERNUS, nel senso di 'appezzamento di terreno ereditato dal padre'; secondo altri deriverebbe da PATERNIA, che identificava le colonie militari sotto Giulio Cesare. Il ritrovamento, nei dintorni, di reperti antecedenti all'impero romano è indicativo di insediamenti preistorici e celtici. Successivamente la zona fu sotto la giurisdizione ecclesiastica della pieve di Brivio; con il dominio spagnolo, passò nelle mani della famiglia dei conti Corio. Il fiume Adda ha sempre rivestito un'enorme importanza sia per l'economia che per gli scambi culturali. La navigabilità e l'attraversamento del fiume sono stati i due problemi che maggiormente hanno afflitto gli abitanti: navigare sul fiume risultava difficile e pericoloso a causa dei frequenti dislivelli e gorghi, mentre l'attraversamento era praticamente impossibile. Carlo Magno fece costruire un ponte, che in seguito fu più volte abbattuto e ricostruito. Sotto il ducato di Milano, Ludovico il Moro affidò a Leonardo da Vinci l'incarico di rendere il fiume navigabile ma poi il progetto fu abbandonato. Anche Francesco I Sforza si interessò al problema, fin quando Giuseppe Meda, sul finire del '500, costruendo un canale, rese possibile la navigazione ed il trasporto di merci fino al territorio padernese. Nel '700, sotto il dominio austriaco, fu costruito un altro canale di navigazione; nel secolo XIX la realizzazione di un ponte in ferro risolse la questione dell'attraversamento. La parrocchiale di Santa Maria Assunta, dell'Ottocento, sorge in un'area sopraelevata. La chiesa custodisce un affresco popolare, ex-voto per una pestilenza. La chiesetta di Sant'Elisabetta alle Ossa, nota anche come chiesa dei morti o degli alpini, si trova in prossimità del fiume.

 

Economia

 

Gli abitanti si dedicano prevalentemente ad attività agricole ed industriali ma anche il terziario è abbastanza sviluppato. Le coltivazioni di cereali e frumento hanno nel tempo sostituito quelle di viti e gelsi, nel passato molto sviluppate nella zona. L'allevamento bovino è anch'esso praticato, anche se non su larga scala. L'industria è sicuramente più rappresentata, grazie alla presenza di imprese edili, mobilifici e fabbriche metallurgiche. Molto importanti la manifattura tessile, che annovera fra i suoi maglifici lo stabilimento di una nota azienda di rilevanza nazionale, e gli impianti di produzione e distribuzione dell'energia idroelettrica che, costruiti sull'Adda dalla Società Edison tra il 1896 a il 1898, sono ancora oggi fra i più grandi del mondo. Il terziario offre impiego nel commercio, nelle amministrazioni locali e nei servizi privati, come quelli di consulenza informatica. La posizione geografica e le spiccate qualità imprenditoriali della popolazione fanno della località un polo economico di un certo rilievo, tale da giustificare la presenza di sportelli bancari operanti sul posto. Nelle scuole locali si impartisce l'istruzione primaria; è presente una biblioteca. Non ci sono, invece, strutture sociali di particolare rilevanza. Le strutture ricettive sono ben organizzate ed offrono la possibilità sia di soggiorno sia di ristorazione. L'assenza di strutture sanitarie costringe la popolazione a spostarsi nei comuni limitrofi; sul posto è comunque presente la farmacia.

 

Relazioni

 

La località può esser considerata una meta turistica di buon livello, sia per la posizione lungo uno dei tratti più caratteristici e spettacolari dell'Adda, sia per i bei panorami che spaziano dalla costa bergamasca fino alla montagna di Lecco. La popolazione non intrattiene, comunque, rapporti rilevanti con gli altri comuni, rivolgendosi ad essi soltanto per le attività commerciali e per i servizi. La festa patronale, dedicata a Santa Maria Assunta, si celebra il 15 agosto.

Località

Cascina Brughè, Cascina Fornace

Nella nuova Programmazione 2007-2013 della politica di coesione economica e sociale dell'Unione Europea il comune di Paderno d'Adda rientra nell'Obiettivo "Competitività regionale e occupazione". A partire dal 1 0 gennaio 2007 nelle aree rientranti in tale obiettivo l'impiego dei "fondi strutturali" europei punta a rafforzare la competitività, l'occupazione e l'attrattiva delle regioni, ad anticipare i cambiamenti socioeconomici, a promuovere l'innovazione, l'imprenditorialità, la tutela dell'ambiente, l'accessibilità, l'adattabilità dei lavoratori e lo sviluppo dei mercati. Cfr. Regolamento (CE) n. 1083/2006 dell’11 luglio 2006 recante disposizioni generali sul Fondo Europeo di sviluppo regionale, sul Fondo Sociale Europeo e sul Fondo di Coesione.

Ponte San Michele

Ponte Röthlisberger

Localizzazione

Stato     Bandiera dell'Italia Italia

Città      Paderno d'Adda (LC) - Calusco d'Adda (BG)

Attraversa          Adda

Coordinate         45°40′56″N 9°27′09″E

Coordinate: 45°40′56″N 9°27′09″E (Mappa)

Dati tecnici

Tipo       ponte ad arco

Materiale            ferro

Campate             1

Lunghezza          266 m

Luce max.           150 m

Altezza luce       85 m

Altezza 85 m

Realizzazione

Progettista         Jules Röthlisberger

Ing. strutturale Jules Röthlisberger

Costruzione       1887-1889

Mappa di localizzazione

Il ponte San Michele,[1] noto anche come ponte di Paderno, ponte di Calusco o ponte Röthlisberger, è un ponte ad arco in ferro, a traffico misto ferroviario-stradale, che collega i paesi di Paderno d'Adda e Calusco d'Adda attraversando una gola del fiume Adda. Capolavoro riconosciuto come uno dei simboli dell'archeologia industriale italiana[2], nel 2017 il ponte è stato candidato per essere inserito nella lista UNESCO dei patrimoni dell'umanità[3][4].

    1 Tecnica e struttura

    2 Storia

    3 Manutenzione straordinaria

    4 Viabilità

    5 Candidatura a bene dell'umanità

    6 Note

    7 Bibliografia

    8 Voci correlate

    9 Altri progetti

    10 Collegamenti esterni

 

Tecnica e struttura

Progetto del ponte

 

Il ponte venne progettato dall'ingegnere svizzero Jules Röthlisberger (1851-1911)[5][6], direttore dell'ufficio tecnico della Società Nazionale Officine di Savigliano[7], che si fece carico della costruzione; è lungo 266 metri[8] e si eleva ad 85 metri al di sopra del livello del fiume Adda. Fu tra i primi esempi di costruzione che sfruttò i principi della teoria dell’ellisse di elasticità[9] e fu pertanto successivamente reso oggetto di studi[10], analogamente ad altri grandi ponti metallici eretti negli stessi anni, come il ponte Maria Pia di Porto e il viadotto di Garabit[11], entrambi progettati da Gustave Eiffel, ideatore anche della famosa torre di Parigi che porta il suo nome; Röthlisberger, nel 1909, realizzerà anche il progetto del Ponte della Becca, sulla confluenza tra il Ticino ed il Po (provincia di Pavia), che rimane le seconda struttura in ferro più estesa al mondo, alle spalle proprio della Torre Eiffel. Esso è formato da un'unica campata in travi di ferro da 150 metri di corda, che sostiene tramite 7 piloni ferrei un'impalcatura a due livelli di percorribilità (uno ferroviario e l'altro carrabile, con un dislivello di 6,3 metri tra le due sedi). La sede stradale è larga cinque metri ed è a singola corsia, con due passaggi pedonali sui lati. Nel livello inferiore del ponte transita la linea ferroviaria Seregno-Bergamo, mentre sul livello superiore passa la strada carrabile che collega la provincia di Lecco a quella di Bergamo.

 

La campata è costituita da due archi parabolici simmetrici e affiancati, leggermente inclinati tra loro e a sezione variabile (più snella verso la cima). La scelta di un ponte a singola campata, senza appoggi intermedi a terra, fu dettata sia dalla particolare forma della gola da scavalcare, molto stretta e profonda, sia dalla volontà di non intralciare la navigazione sul corso d'acqua. Gli archi si appoggiano a opere cementizie e murarie costruite a metà delle pareti della scarpate contrapposte che discendono verso il fiume. I plinti e i contrafforti di sostegno sono costituiti da oltre 5.000 metri cubi di pietra di Moltrasio e 1.200 metri cubi di granito di Baveno.

La struttura è interamente chiodata e del tutto priva di saldature; all'epoca della costruzione del ponte, per saldare erano necessari impianti ingombranti e poco pratici, inadatti ad essere utilizzati nei manufatti in opera, soprattutto se di dimensioni così rilevanti e in posizioni così poco agevoli. Le macchine portatili per la saldatura (soprattutto quelle a elettrodi) avrebbero cominciato a diffondersi pochi anni dopo e si sarebbero affermate solo con la prima guerra mondiale.

 

Nonostante tali limiti tecnici, il ponte risultò un'opera di ingegneria imponente: per unire e reggere le oltre 2.500 tonnellate della complessa struttura a maglie triangolari degli archi, dei piloni e dei due livelli percorribili, furono infatti impiegati 100.000 chiodi ribattuti. Il doppio arco da solo pesa oltre 1.320 tonnellate, mentre la travata principale raggiunge le 950 tonnellate.

Per le sue peculiarità tecniche il ponte è considerato un capolavoro di archeologia industriale italiana, nonché una delle più notevoli strutture realizzate dall'ingegneria ottocentesca. Esso si trova inoltre a poca distanza da altri due importanti siti di archeologia industriale, ovvero le centrali idroelettriche Esterle e Bertini. La rilevanza del ponte San Michele, dal punto di vista storico, è paragonabile a quella della già citata Torre Eiffel, costruita esattamente nello stesso periodo storico e con tecnologie analoghe: entrambe le strutture, in tale periodo, divennero il simbolo del trionfo industriale per i rispettivi paesi. All'epoca della sua costruzione il ponte San Michele era infatti il più grande ponte ad arco al mondo per dimensioni e il quinto in totale per ampiezza di luce.

Storia

Vista del ponte, che mette in evidenza i due piani sovrapposti: quello inferiore per i treni, quello superiore con la strada carrabile.

Il ponte venne costruito tra il 1887 e il 1889[12] per farvi transitare uno dei pochi collegamenti ferroviari tra le due rive del fiume Adda.[7][13][14]

Dopo l'Unità d'Italia il neonato regno iniziò l'opera di raccordo e unificazione delle diverse tratte ferroviarie gestite da diverse società private. Le varie reti erano principalmente su scala locale, assai poco omogenee tra loro per mezzi e materiali e spesso nemmeno adeguatamente collegate.[13]

Milano aveva già visto le prime ferrovie nell'agosto del 1840, quando venne aperto il collegamento con Monza: la presenza dell'Adda separava la città dalle emergenti aree industriali che gravitavano intorno a Bergamo e Brescia (quest'ultima particolarmente strategica per via della produzione militare).[13]

Lungo l'Adda stesso si trovavano numerosi impianti principalmente di tipo tessile e le vie di comunicazione esistenti ormai cominciavano a diventare sempre più insufficienti alle necessità dell'industrializzazione.[13]

Da questo scenario derivò dunque la decisione di costruire un raccordo ferroviario tra Carnate-Usmate e Ponte San Pietro, in modo da collegare efficientemente i poli produttivi dell'area dell'Adda.[13]

Il primo progetto venne affidato alla Società per le Strade Ferrate Meridionali, che aveva in carico la costruzione del tracciato ferroviario: il progetto prevedeva inizialmente un ponte a più piloni, con travatura in ferro ma a struttura rettilinea. Questo ponte avrebbe dovuto essere dotato di due piani di percorrenza, il superiore per la ferrovia e quello inferiore per la strada.[13]

La Società Nazionale Officine di Savigliano (SNOS) chiese di poter partecipare con un proprio progetto all'assegnazione del lavoro e ne ottenne facoltà presentando nel marzo 1886 una raccolta di dodici tavole tecniche. La SNOS aveva già realizzato alcuni ponti in ferro, tra cui quello sul Po a Casale Monferrato e quello di Asti sul Tanaro, ed anche il ponte stradale di Trezzo sull'Adda, il quale fu sostituito nel 1953 da una nuova struttura in calcestruzzo armato.

 

La gara vide quattro progetti partecipanti in tutto e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (organo tecnico dell'omonimo Ministero) assegnò l'incarico alla SNOS.

Il 22 gennaio 1887 il commendator Di Lena, Ispettore Generale delle Strade Ferrate, firmò il contratto con la società piemontese, rappresentata dal direttore generale ing. Moreno.

Per la costruzione dell'opera venne concordato un tempo di soli diciotto mesi. Furono apportate piccole modifiche al progetto originale, allungando ed elevando il ponte alle misure attuali (cinque metri in più di corda dell'arco, 42 in più di lunghezza).

L'importo dei lavori venne stabilito in 1.850.000 lire per la costruzione, più 128.717,50 lire per le opere preliminari.[13]

Per la costruzione del ponte vero e proprio venne realizzato un primo ponte di servizio, per il quale furono necessari 1.800 metri cubi di legno di pino importato dalla Baviera. Durante la realizzazione di questa struttura temporanea, che richiese ben 11 mesi per via della complessità del terreno, si iniziarono a costruire i plinti e le fondamenta del ponte San Michele, grazie al continuo afflusso di granito e pietra trasportato lungo l'Adda con le chiatte.

Il ferro (2.515 tonnellate) e la ghisa (110 tonnellate) necessari vennero importati dalle fonderie tedesche e lavorati a Savigliano in modo da ottenere i moduli da assemblare per costruire la struttura, che venivano poi trasportati a Paderno tramite la ferrovia e montati in posizione tramite una funicolare azionata da una potente locomotiva.

La SNOS mise a disposizione del cantiere 470 operai: l'efficace logistica e l'organizzazione permisero di rispettare i tempi promessi, anche se vi furono alcune vittime tra i lavoratori.

La costruzione venne terminata nel marzo 1889; nel maggio dello stesso anno venne effettuato il collaudo, in una giornata di pioggia torrenziale, tramite il transito di un treno molto pesante prima alla velocità di 25 km/h, poi a quella di 35 km/h ed infine, come venne definita nel resoconto de L'Eco di Bergamo, alla velocità vertiginosa di 45 km/h. Il convoglio era composto da 3 locomotive da 83 tonnellate l'una e trenta vagoni, risultando ben più lungo di tutto il ponte, ed aveva peso complessivo di 850 tonnellate. In tale frangente si diffuse una leggenda metropolitana, secondo cui il progettista Röthlisberger si sarebbe suicidato prima del collaudo per timore di un fallimento, dando il via a una serie di continui suicidi (in realtà Röthlisberger non morì affatto suicida nel 1889, ma di polmonite il 25 agosto 1911, nella sua casa di Chaumont-Neuchâtel).[6]

Il 26 maggio 1889, alla presenza dell'arcivescovo di Milano Luigi Nazari di Calabiana ed altri membri del clero milanese, viene svolta la cerimonia di benedizione del ponte. Il successivo 30 giugno, a Paderno d'Adda, come da deliberazioni congiunte delle allora Deputazioni Provinciali di Bergamo, Milano e Como, venne celebrata l'inaugurazione del ponte alla presenza delle autorità. Alla cerimonia presenziarono anche diversi ingegneri, tra cui lo stesso Rothlisberger.[15] Il rinfresco si tenne in una collina nei pressi del ponte da cui il sindaco di Robbiate pronunciò il discorso celebrativo, invitando tutti ad un simbolico abbraccio corale tra le genti dell’Adda, e il senatore Giuseppe Robecchi rivolse un saluto di omaggio alle centinaia di lavoratori coinvolti nella realizzazione del ponte.[15] Il 1ºluglio 1889 il ponte entra ufficialmente in servizio.[15]

Nel 1890 il ponte fu infine interamente concluso con una nuova verniciatura.

 

Solo tre anni dopo il primo, il ponte subì un secondo collaudo, per verificare la percorribilità con le locomotive di nuova generazione, più potenti e pesanti.

L'apertura del ponte offrì la possibilità di stabilire comunicazioni rapide e stabili tra le due parti della Lombardia, riducendo i tempi di percorrenza e rendendo di fatto praticabile l'apertura di nuove tratte commerciali tra le zone produttive del Piemonte orientale (Novara e Vercelli) e le industrie dell'est lombardo, soprattutto del bresciano e del bergamasco.

Il ponte venne già all'epoca della sua costruzione ritenuto un capolavoro di tecnica ingegneristica, tanto da venire inserito nell'elenco dei maggiori ponti ad arco del mondo e da venire citato come esempio di splendore dell'ingegneria civile, sia per il progetto ardito che per la perizia della realizzazione.

Durante la seconda guerra mondiale il ponte (sebbene la zona fosse stata interessata da bombardamenti, con la caduta di vari ordigni nella valle dell'Adda) non venne danneggiato seriamente da azioni belliche; nel secondo dopoguerra necessitò ugualmente di alcuni lavori di consolidamento, che furono realizzati dal genio militare. Un completo restauro della travatura venne messo in atto nei primi anni cinquanta.

Altri due cospicui interventi di restauro vennero condotti nel 1972 e nel 1992[16]; negli anni ottanta il ponte venne inserito nell'elenco dei beni tutelati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Regione Lombardia[17][18]. Nonostante i lavori fatti, sul ponte si applicarono comunque notevoli limitazioni al traffico sia stradale che ferroviario (vedi sotto).

Nel XX secolo il ponte venne sfruttato per praticarvi il bungee jumping con l'installazione di apposite strutture temporanee, poi rimosse dopo essere state dichiarate non conformi alle normative in vigore.

Il 15 settembre 2018, dopo il riscontro di valori anomali e preoccupanti forniti dal sistema di monitoraggio continuo da parte dei tecnici di RFI, il ponte è stato chiuso d'urgenza alla circolazione stradale e ferroviaria[19]. I lavori di manutenzione sono stati stimati essere della durata di due anni.[20] A partire da tale data i treni hanno circolato unicamente tra Milano e Paderno e tra Calusco e Bergamo; tra Paderno e Calusco è stato attivato un collegamento tramite autobus, inizialmente limitato alle due stazioni ai lati del ponte ed in seguito esteso fino a Terno d'Isola, che attraversava l'Adda presso il ponte di Brivio.

Veduta aerea del Ponte San Michele nell'autunno del 2018, chiuso al traffico prima degli interventi di ristrutturazione.

Il 29 marzo 2019 il ponte è stato riaperto a pedoni e biciclette, in occasione anche dell'apertura dell'autodromo di Monza ai cicli, e sono stati attivati collegamenti mediante autobus navetta tra le estremità del viadotto e le stazioni di Paderno e Calusco, che arrivavano e partivano in coordinazione tra le estremità opposte e consentivano ai viaggiatori di transitare sul ponte a piedi. L'8 novembre 2019 il ponte è stato riaperto anche al traffico veicolare, con l'attivazione di un servizio di autobus che collegava Paderno e Calusco tramite il ponte (venendo quindi effettuato con mezzi di dimensione e capienza ridotta); il servizio automobilistico via Brivio, rimasto invariato, è stato effettuato fino al successivo 15 dicembre, data in cui è stato soppresso in occasione dell'entrata in vigore del nuovo orario ferroviario invernale, che prevedeva che gli autobus navetta che transitavano sul ponte partissero ed arrivassero in coincidenza con i treni.

 

I lavori di ristrutturazione del ponte sono proseguiti anche dopo l'inizio della pandemia di COVID-19, a seguito della quale è stato deciso di imporre un lockdown sull'intero territorio nazionale italiano dal 9 marzo al 18 maggio 2020, ed il 14 settembre dello stesso anno il ponte è stato infine riaperto anche al transito dei treni, ad esattamente 2 anni dalla data in cui era stato chiuso; di conseguenza tutti i servizi di autobus sostitutivi sono stati eliminati[21].

Manutenzione straordinaria

Progetto di Fabrizio de Miranda per un nuovo ponte affiancato al ponte storico

All'inizio degli anni novanta si ipotizzò di chiudere il ponte, ormai centenario, strutturalmente obsoleto e inadeguato al traffico che vi transitava, e di preservarlo costruendo accanto ad esso una nuova struttura in cemento a singola campata, su cui trasferire tutta la viabilità, per una spesa prevista di 42 miliardi di lire italiane dell'epoca. Tale progetto non ebbe tuttavia seguito.

Il ponte, per via della sua altezza e della conformazione delle barriere, è stato spesso teatro di suicidi, con 15 episodi avvenuti tra il 2004 e il 2005: si è pertanto ipotizzato di migliorare le ringhiere e le protezioni al fine di prevenire tali tragici eventi[22]. Dal 5 dicembre 2014 i passaggi pedonali a lato della sede stradale, usurati e pericolanti, vennero chiusi da reti metalliche e interdetti al passaggio.

Un nuovo intervento di riqualificazione, per una spesa complessiva di 25 milioni di euro, è stato annunciato alla fine del 2015. Esso avrebbe dovuto permettere il transito ferroviario a velocità più elevata, la messa in sicurezza e riapertura dei passaggi pedonali e un'azione di manutenzione globale della struttura.[23] Il 20 giugno 2016, la Regione Lombardia ha stanziato 1,6 milioni di euro, per lavori di ristrutturazione ai fini di miglioramento della viabilità stradale e ferroviaria, che si andranno ad aggiungere ad un fondo di 20 milioni di euro stanziati da RFI per la viabilità ferroviaria[24][25]. Uno degli obiettivi del progetto di ristrutturazione era innalzare il limite massimo di velocità dei treni a 75 km/h, a fronte degli attuali 15 km/h[26].

La sera del 14 settembre 2018, a seguito di parametri anomali riscontrati dai sensori di stabilità, il ponte fu improvvisamente chiuso a tempo indeterminato a partire dalla mezzanotte, sia per il traffico veicolare che per quello ferroviario. Sono stati quindi avviati importanti lavori di consolidamento e ristrutturazione, che hanno permesso di rendere nuovamente accessibile il ponte dal 29 marzo 2019 al traffico ciclopedonale, dall'8 novembre 2019 al transito dei veicoli a motore[27][28] ed il 14 settembre 2020 al traffico ferroviario[29].

Viabilità

Un treno regionale composto da carrozze a piano ribassato trainate da una locomotiva E.464 percorre il ponte .Il ponte rappresenta da oltre un secolo un nodo viario cruciale per l'attraversamento del fiume Adda e la comunicazione tra le province di Lecco e Bergamo. La sede viaria si raccorda a tre strade, in una configurazione a "Y": sulla parte occidentale vi confluiscono due strade locali del comune di Paderno d'Adda, mentre dalla parte opposta la strada, dopo pochi chilometri, raggiunge l'abitato di Calusco d'Adda.

La carreggiata è a singola corsia, con due camminamenti pedonali laterali, e presenta una strettoia ad entrambi gli accessi, realizzata con due paracarri metallici posti ai lati della carreggiata, al fine di limitare la velocità di immissione e la dimensione dei veicoli che passano sul ponte; a seguito dei lavori condotti tra il 2018 ed il 2019 è stato operato un ulteriore restringimento. Dai primi anni novanta vige infatti il divieto permanente di transito a tutti i veicoli di massa complessiva superiore ai 35 quintali, i quali, per l'attraversamento dell'Adda, vengono indirizzati sui più capienti ponti di Trezzo sull'Adda e Brivio, oltre che sul ponte dell'arteria autostradale A4 Torino-Trieste.

La parte stradale presenta semafori dotati di telecamere per la rilevazione delle infrazioni del rosso[30] che regolano il traffico a senso unico alternato ad intervalli di diversi minuti, con code che spesso arrivano nei centri abitati; su entrambi i lati vige l'obbligo di spegnere i motori a semaforo rosso. I semafori sono regolati in modo tale da evitare il passaggio contemporaneo di autoveicoli e treni, così da ridurre le sollecitazioni sulla struttura. Prima del 2018 il limite di velocità per gli autoveicoli era di 30 km/h, mentre dal settembre 2019 è stato ridotto a 20 km/h: è attivo un sistema automatico di rilevazione delle infrazioni a tale limite.

La linea ferroviaria del livello inferiore è a binario unico, con scartamento ordinario di 1435 mm ed elettrificata a 3000 V in corrente continua tramite linea aerea di contatto; già da prima del 2018 i treni attraversano il ponte con riduzione di velocità a 15 km/h per via delle caratteristiche della struttura[31].

Candidatura a bene dell'umanità

Alla fine del 2017 il ponte è stato candidato per essere inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità protetti dall'UNESCO come parte di un bene transnazionale, assieme ad altri quattro ponti ad arco in ferro del XIX secolo. Tale candidatura è stata ufficializzata dal sindaco di Paderno d'Adda in collaborazione con la giunta comunale di Calusco d'Adda, durante un convegno internazionale tenutosi a Solingen, in Germania[32].

Gli altri quattro ponti sono il viadotto di Garabit in Francia, il ponte di Müngsten in Germania e i ponti Maria Pia e Dom Luís I di Porto, in Portogallo[32].

Sembrerà strano, a chi non sia del posto, sentire il nome dei Tre Corni quando si parla dell’Adda;. ma la realtà supera qualsiasi immaginazione: i tre grandi massi di ceppo, che si ergono maestosi dal fiume e si innalzano con la punta smussata verso il cielo, segnano l’inizio della grandiosa e selvaggia forra, profonda più di 100 metri dal livello della pianura e che si estende nel territorio di Paderno d’Adda; territorio di cui quei grandi massi sono quasi l’emblema.

I Tre Corni sono probabilmente la propaggine della catena accidentata di ceppo che scendeva dal Vallone (profonda valle che si snoda sopra il tracciato della forra, ricoperta da boschi e sovrastata da incredibili alte pareti di ceppo) fino a sbarrare quasi totalmente il passaggio dell’acqua nel lungo crepaccio lasciato dal ghiacciaio in ritirata. La grande quantità d’acqua che scendeva dalle montagne ha fatto innalzare il livello dell’invaso a monte dello sbarramento. L’acqua ha così trovato uno sfogo in due punti deboli della catena: i fianchi del grande masso oggi chiamato cepp taja (ceppo tagliato).

Il Santuario di Santa Maria della Rocchetta e il Cepp taiaa

Dal lato del crepaccio l’acqua ha continuato a scavare e sgretolare il ceppo, isolando i tre grandi massi che vediamo ora. Mentre dal lato opposto il taglio è stato determinato dal passaggio dell’acqua incanalata in una depressione del suolo. Si creò così un ramo parallelo al corso principale del fiume che isola, più a valle, anche il promontorio su cui sorgerà il Santuario di Santa Maria della Rocchetta e che, subito dopo, si riuniva sotto forma di cascata al corso principale. Con l’abbassamento dell’alveo del fiume, il ramo laterale è rimasto in secca, lasciando la traccia di un avvallamento, sfruttato nei secoli scorsi per la costruzione del Naviglio di Paderno. Conseguentemente il cepp taja ha subito due forti ridimensionamenti: prima per far posto al naviglio (1591), poi per il suo allargamento utile a portare più acqua alla centrale idroelettrica (1895).

I Tre Corni in veduta estiva e invernale

Qualsiasi viaggiatore che si trovi a passare in questo luogo resterà ammaliato di fronte a ciò che la natura, in milioni di anni, ha modellato. Nei pressi dei Tre Corni si possono ammirare delle rocce nelle quali sono scolpite le curiose marmitte dei giganti. Sono buchi profondi e rotondi di origine glaciale creati dai vortici di acqua e sassi che si infiltravano attraverso i crepacci del ghiacciaio, colpendo in continuazione la roccia sottostante, fino a perforarla.

Nell’aprile 1949 proprio all’altezza dei Tre Corni, il cav. Giovanni Croce di Vaprio d’Adda rinvenne un molare di Mastodonte (animali con denti a forma di mammella), appartenente alla specie di Ananco d’Alvernia (Anancus Arvernensis, zanne diritte, senza curve). Il proboscidato estinto visse da 10 a 1,5 milioni di anni fa, si cibava di fogliame, arbusti e frutti, aveva un peso di 5 tonnellate ed era alto 3 metri. Il molare è stato donato al Museo Civico di Storia Naturale di Milano.

Il percorso tortuoso e accidentato della forra è interrotto in due punti da slarghi, con sembianze di piccoli laghi, che hanno la funzione di mantenere una certa quantità d’acqua nei periodi di magra, a beneficio della fauna ittica. Essi vengono individuati come Bacino superiore dei morti e Bacino inferiori dei morti. La macabra denominazione deriva dal comportamento dei cadaveri degli annegati che, giunti in questi bacini, non trovano la via d’uscita e seguono l’andamento del flusso d’acqua circolare, senza soluzione di continuità. Nel gergo popolare il significato è più immediato: moja di mort (morti in ammollo) oppure mola di mort (morti che girano come una mola). Oggi possiamo vedere il risultato del movimento dell’acqua dalla condizione dei tronchi di alberi depositati sulle sponde.

Bacino superiore e inferiore dei morti

I Tre Corni di Cornate

Un’altra meraviglia che la natura ha plasmato nella grande forra di Paderno, poco a valle dei precedenti Tre Corni, sono questi tre alti pilastri di ceppo che si incontrano sulla riva sinistra del fiume, all’uscita del Bacino Inferiore dei Morti. Svettano in mezzo alla vegetazione, quindi sono meglio visibili nel periodo invernale, e assomigliano a sentinelle allineate a guardia delle pericolose rapide. Le credenze popolari raccontano che furono queste pietre, dette corni, a dare nome all’antica Coronate, oggi Cornate d’Adda, che comprendeva anche questi territori; ma a torto. Essi sono innocenti. L’ancòra più antica dizione di Campus Coronatae racchiude in sé la giusta sentenza.

I Tre Corni di Cornate

Forra d’Adda, tre ispirati visitatori

Fra i molti visitatori illustri che vennero a contemplare il mirabile paesaggio naturale del medio corso dell’Adda, possiamo annoverare tre menti geniali che, per motivi diversi, fecero di questo territorio un motivo di spunto per i loro studi di carattere tecnico, letterario, artistico e culturale: Leonardo da Vinci, Cesare Cantù e Antonio Stoppani.

Leonardo da Vinci (1452-1519) arriva nel Ducato di Milano nel 1482, chiamato dal duca Ludovico il Moro come esperto di difese belliche, opere idrauliche e magnifico inventore di stupefacenti artifizi da mostrare durante le grandi feste tenute a corte. Egli girò tutto il Ducato in lungo e in largo. Più volte fu ospite, nella grande villa di Vaprio d’Adda, della famiglia del conte Gerolamo Melzi e da qui non tralasciò di risalire la Valle dell’Adda.

I suoi spostamenti si compivano a volte a piedi, quasi sempre a cavallo, ma anche ospite sui barconi fino a Trezzo o a Porto e quindi sui carretti che trasportavano le merci nel tratto non navigabile dell’Adda. Possiamo solo immaginare lo stupore di Leonardo quando si trovò di fronte la grande forra dentro la quale scorre il fiume: l’acqua impetuosa e spumeggiante che sbatte contro gli enormi massi di ceppo che disseminano il letto del fiume, la natura selvaggia delle sponde e il canto delle innumerevoli specie di volatili che facevano a gara con il frastuono delle rapide.

Questo era l’ambiente prediletto da Leonardo, durante le sue visite prendeva appunti e faceva schizzi per poi trasferirli nelle sue opere. In diverse sue opere, sia dipinti che disegni, si possono distinguere gli scenari fluviali, lacustri ed anche montani della Lombardia. Leonardo amava confondere i paesaggi che più l’avevano colpito, anche se appartenenti a diverse realtà.

In uno dei suoi primi dipinti eseguiti in Lombardia, commissionatogli dalla Confraternita dell’Immacolata Concezione che gestiva la chiesa di San Francesco Grande di Milano, Leonardo immortala alle spalle dei personaggi, rappresentanti la Vergine con Gesù Bambino, San Giovanni e un Angelo, i suoi elementi preferiti: l’acqua e la pietra. Il maestoso intreccio roccioso, probabilmente, appartiene al territorio abduano e in particolare si notano, sulla sinistra del dipinto, dei grossi massi di roccia che spuntano dal letto del fiume e che si possono identificare nei “Tre Corni. Il dipinto, noto sotto il nome de La Vergine delle rocce, si trova esposto nel Museo del Louvre a Parigi.

L’ostacolo alla continuità della navigazione fluviale tra Milano e il lago di Como era dovuto proprio alla grande forra di Paderno, nella quale i grandi massi non permettevano alcun passaggio. Il Duca di Milano volle risolvere questo problema, forse chiedendo a Leonardo di riflettere su un’opera idraulica che superasse tale difficoltà. Il Grande Maestro, dopo attenti rilievi, soprattutto ai Tre Corni, da dove sarebbe partito il suo progetto, stilò la sua sorprendente idea che si racchiude nella frase d’inizio del lavoro: facciasi una concavità ne’ Tre Corni dove si fermi il muro che chiude l’acqua. Il progetto era di erigere sul fiume una diga molto alta, a monte dei tre grandi picchi rocciosi, per poter così incanalare l’acqua nel tracciato secondario e parallelo al fiume ormai in secca, quasi un canale naturale che dopo circa due chilometri di percorso, sotto l’alto sperone roccioso dove è situato il Santuario di Santa Maria della Rocchetta, si sarebbe riversato di nuovo nel fiume attraverso la costruzione di una conca di navigazione perpetua alta circa 18 metri per la salita e la discesa dei natanti, da e per il fiume. L’ambizioso progetto di Leonardo era purtroppo, destinato a rimanere tale. La sua realizzazione implicava tecniche ardite che nessuno a quei tempi era in grado di mettere in opera.

L’attuale Naviglio inaugurato l’11 ottobre 1777 dall’Arciduca Ferdinando d’Asburgo, rappresentante dell’Impero Austro-Ungarico a Milano, è stato scavato sul tracciato di Leonardo ed è la felice conclusione di un progetto ideato dai Francesi tra il 1516 e il 1521, iniziato dagli Spagnoli nel 1591 e concluso appunto dagli Austriaci. La via d’acqua rimase in esercizio fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, allorché l’ammodernamento delle ferrovie, l’apertura delle prime autostrade e l’uso dei grandi mezzi di trasporto su gomma resero il trasferimento di merci sull’acqua non più competitivo.

Cesare Cantù (1804-1895) nativo di Brivio, grande personaggio storico, letterato, scrittore e politico, rimase sempre legato al suo paese natio e all’Adda, dove riposa nel cimitero locale. Quando ritornò a Brivio dopo diversi decenni, volle dedicare al suo fiume un libricino: Sull’Adda (1884) nel quale descriveva il suo intraprendente viaggio dalla sorgente alla foce.

Traghetto di Imbersago (definito ponte volante da Cesare Cantù)

Con dovizia di particolari, in queste pagine racconta luoghi, paesi, fatti storici e leggende oltre agli scorci più superbi dell’Adda. Troviamo qui anche il nostro territorio ed in particolare il tratto dove inizia la forra di Paderno che così descrive: “A Imbersago per un ponte volante, dalla strada provinciale milanese si tragitta alla bergamasca. Quivi l’Adda va crescendo di violenza, finché arriva alle Tre corna, ove dato una svolta rabbiosa, gettasi a precipizio fra ingenti sassi e scogli a schiuma d’acqua nel tratto di 2500 metri avendo l’enorme pendenza di metri 27.50. Impossibile dunque il navigar da Milano al lago se non si aprisse un canale artificiale”. Quindi prosegue descrivendo in modo preciso la storia del naviglio di Paderno.

Continua il Cantù descrivendo le macchinose e lunghe operazioni per superare le conche: “Il dover ripetere quell’operazione per sei sostegni fa consumare tre ore in quel tragitto: ed io lo scansai col percorrere a piedi la stradella dell’alzaia in parte, in parte un sentiero entro il bosco. Niente di più stupendo che questo passeggiare sulla costiera, larga pochi metri, che ad un margine vede nel canale volger quiete le domite acque, all’altro l’Adda fragorosa, spumeggiante, azzurra caracollare in gorghi, rompersi in sprazzi, battere giganteschi macigni, che fra quell’orrore stanno saldi come il giusto fra le persecuzioni del mondo”.

Certamente ciò che ammirò il Cantù è quanto possiamo vedere anche noi oggi, ma dalla sua descrizione si può facilmente dedurre che egli vide molta più acqua nella forra, dato che le due centrali idroelettriche che sottraggono decine di metri cubi d’acqua al secondo, non erano ancora state costruite.

Ma lo scrittore ci racconta anche un importante fatto: “Il canale è costruito di puddinga, che qui dicesi pietra molera e ceppo, talchè spesso fa pelo e guasti. Nella piena del 1810 un macigno caduto nell’Adda la ingorgò per modo, che quasi alzossi fin al livello del naviglio, e lo sfasciò. Nuovi disastri recava la piena del 1829, e continua attenzione è necessaria al fine di prevenire i piccoli sconcerti, che ne produrrebbero di grandi. Al qual uopo è destinato un custode, carica conservatasi quasi ereditariamente nella famiglia Vigevano, che prima vi fu posta”.

Nel toccante e avvincente romanzo storico Margherita Pusterla (1838) ambientato nel XIV secolo, il Cantù narra in un capitolo il tragico episodio, capitato a Lecco alla bella e sfortunata Rosalia che il marito, Ramengo da Casale, incolpandola di infedeltà l’abbandona col figlio neonato Alpinolo lungo l’Adda, sopra ad una barca malandata, alla fine di una giornata di maggio, con il fiume in piena. La descrizione del percorso della barca da Lecco alla foce dell’Adda è impressionante, ma è nel tratto della forra di Paderno, che il racconto assume la forma di una sfiorata tragedia: “Il fiume, che in quello spazio corre a rotta anche nei tempi ordinarj, ma a vero precipizio quand’è gonfiato, giunto al luogo che chiamano il Sasso di San Michele da una chiesuola erettavi dalla timorosa pietà, entra in un letto più angusto, con furia ancor più minacciosa. …e il fiume in balia di sé stesso dando volta, s’insaccava in quella stretta, che oggi ancora, benché difesa da salda e fitta travata, mette i brividi ai pochi naviganti che s’avventurano a passarle a lato, e che ripetono al piloto, ai rematori di tenersi ben rasente alla riva opposta, mentre si raccomandano al Signore, e rammemorano i non rari casi d’infelici, che l’inesperienza o l’impeto strascinò attraverso per le Tre corna, come viene chiamato quel gorgo. Di qua e di là del quale ergesi a picco una montagna, da cui i secoli divelsero enormi catolli, onde è seminato ed irto quel varco. Alcuni si alzano giganti da emulare i greppi laterali; altri sporgono appena a fior dell’acqua la cima tagliente; dell’acqua che, riurtata fra i massi, spumeggia loro intorno, si ritorce in sé stessa vorticosa, ruggisce sì che da lontano se ne ascolta il frastuono, come da lontano se ne vedono balzare le spume ad incanutire i più erti scogli, e diffuse in minutissima spruzzaglia, ingombrar l’aria d’una nebbia trasparente, e colorarsi dell’iride, rinfrangendo i raggi del Sol levante o del morente.

Intese la Rosalia il grave e minaccioso frastuono, poi vide quell’abisso; in soprassalto di terrore si scosse dal momentaneo assopimento, cacciossi le mani nelle chiome irte sul capo; aperse quindi le braccia, le tese colle dita aggranchite, spalancò gli occhi, la bocca ad un ah! disperato quando la barca fu presso, quando venne dal vortice strascinata. Al primo sobbalzo si credette morta; premette al seno il bambino, quasi il suo seno potesse sottrarlo da quel furore; avventò uno sguardo ansioso sulle rive, quasi lusingandosi che le potesse bastar la forza per recare, sventurata! attraverso quell’impeto, fin colà il diletto suo peso.

Udiva frattanto il fondo della barca crocchiare strisciando sul fendente dei macigni: era diguazzata ora dalle onde che sovverchiavano il legno, ora dal piovoso polverio, il cui quelle si risolvevano frangendo contro i ronchioni; ogni nuovo fiotto era una trafittura; nessuna era quella della morte. La morte coglie bensì l’uomo, contento fra le lautezze della gioja, ma risparmia l’infelice quando la invoca siccome termine delle sue miserie.

La sua barchetta, per non so qual ventura, ficcossi fra due scogli vicinissimi, uno dei quali, d’ingente mole, era stato rovesciato dal caso sopra l’altro, in guisa che questo gli serviva di puntello, come il guanciale a cui un gigante riposasse le membra enormi, stancate nella battaglia; e sotto al loro cavo, alcuna quiete avea quel bollimento. Ivi non percosse la barchetta sì forte da andarne spezzata, e il rincalzo delle onde ve la tenne come confitta e in tentenno fra il mugghio, fra i vortici, fra la spuma, fra la continua aspettazione della morte irreparabile.

La Rosalia si levò, curvossi sopra quell’acqua – un salto e più non comparire fuori, – e aver finito, finito questo prolungato crepacuore. – Ma, e il bambino? Oh finché pure un filo di vita restasse, bastava per attaccarvi la fiducia. Misurava coll’occhio l’ertezza di quelle rupi; arrampicarsi fin lassù… nulla pareva impossibile alla forza, dirò meglio, alla frenesia dell’amore materno. Ma e poi?… gente all’intorno non v’è: il rovinio delle acque non lascia intendere le chiamate. Avrebbe dunque a morir lassù di fame, dopo aver uno ad uno noverati i singulti del moribondo figliolo, dopo sorbito stilla a stilla il calice di quella desolata agonia. Ora la corrente, che tanto l’avea dianzi spaventata, le pareva desiderabile, come un rimedio, come l’unica speranza; poteva forse recarla ad una riva, dove alcuno la guardasse, la soccorresse. Ma qui, qui non altro poteva aspettare che la morte.

Risoluta pertanto ad avventurarsi di bel nuovo, col vigore che le infondevano il prepotente istinto della vita e la pietà materna, puntò le braccia contro quei massi, ne staccò la navicella aderente, sicché fra essa ed il macigno potesse mettersi un filo appena d’acqua, il quale di subito dilatandosi il passo, allontanò il legno, e spinse; l’istante dopo trovavasi ancora in balia della corrente, trovavasi fra nuovi gorghi, fra nuovi scogli, poi librata all’impeto dell’Adda che, emersa da quel sasseto, e ripigliando libero corso, la portava colla rapidità del desiderio”. Lascio al lettore di seguire, se vorrà, il destino dei due sventurati, leggendo questo meraviglioso romanzo storico.

Antonio Stoppani (1824-1891) nativo di Lecco, viene ordinato presbitero nel 1848: è stato un geologo, paleontologo, patriota e accademico. Morto a Milano, ora riposa nel cimitero monumentale di Lecco. Grande viaggiatore e scrittore, è autore del significativo volume dal titolo Il Bel Paese, nel quale racconta bellezze e ricchezze naturali dei luoghi d’Italia: voleva far conoscere agli Italiani il proprio paese, che considerava spesso trascurato rispetto allo studio di paesi lontani, invitando a coltivare il sentimento nazionale senza però prescindere da un’appartenenza regionale. Il LIBRO verrà pubblicato nel 1876 e, nella terza edizione del 1881, aggiunge cinque capitoli, uno dei quali riguarda proprio l’Adda a Paderno. Il capitolo IV, che s’intitola Il Reno a Sciaffusa e l’Adda a Paderno, è un confronto di straordinario effetto emotivo per i residenti del territorio abduano.

Racconta lo Stoppani di un suo viaggio in Svizzera nell’estate del 1877 e di aver visto per la prima volta allora le cascate del Reno a Sciaffusa: “Appena t’affacci alla rupe, dove il Reno appare d’un tratto come un mare di spume, il rumore, che prima s’udiva sordo e come in lontananza, ti si fa ad un tratto vicino, ti leva la parola, t’investe quasi con un’atmosfera di suoni gravi e d’acuti, che più non ti abbandona. Al primo sguardo che ti svela, come all’alzarsi d’una magica tela, tutto lo spettacolo della cascata, tu resti come esterrefatto. Bisogna lasciar luogo alla prima commozione; bisogna abituarsi un pochino a discernere tra l’indiscernibile del caos, per potersi render ragione di ciò che si vede. Ecco in alto il Reno, che s’inoltra maestoso e tutto d’un getto. Presso a raggiungere il ciglione da cui deve saltare, si turba, ondeggia come irresoluto, si copre di sfumature bianche e verdi, finché gli è tutto una spuma”.

Prosegue lo Stoppani nel descrivere minuziosamente lo spettacolo suggestivo e prepotente della forza dell’acqua, ma durante la contemplazione si rivolge ai compagni di viaggio esclamando: “Ma sì, qui c’è qualche cosa di molto somigliante alla conche di Paderno”. Poi mentre ritorna verso la città, pensa fra sé e sé: ”Se vi ha qualche cosa che assomigli alla cascata del Reno, sono proprio le conche di Paderno, cioè la rapida dell’Adda che si ammira in quel posto”.

Le rapide dell’Adda a Paderno e le cascate del Reno a Sciaffusa

Di ritorno dalla Svizzera, con l’idea fissa nella testa di rivedere Paderno per confrontare il Reno con l’Adda, si ferma a dormire a Lecco e il giorno dopo, 17 luglio, prende il treno diretto a Monza, scende alla stazione di Cernusco-Merate e raggiunge Paderno. Era una giornata luminosa e l’Adda era in piena. Ecco alcuni stralci delle sue considerazioni: “Alcuni passi avanti, comincia a mostrarsi il fianco sinistro dell’Adda; quindi l’Adda intera, colla sua rapida, co’ suoi scogli, colle sue conche, 60 o 70 metri sotto i tuoi piedi. E’ uno spettacolo incantevole, che ti richiama la marina di Capri, e certi littorali scoscesi, dove tra le rupi sconnesse biancheggia il mare coperto di spume. In fondo a quella valle, salvo i mulini e qualche casetta, tu non iscorgi né castelli, né palagi, né giardini, né paeselli, nulla o quasi che ti richiami ad ogni tratto, come a Sciaffusa, l’opera e la presenza dell’uomo. Qui tutto è natura; natura ancor vergine, quasi altrettanto com’era quando i fiumi serpeggiavano non visti da occhio di uomo. L’impressione che ne ricevi è pertanto più viva ed estasiante. Tu vedi però sul fianco destro dell’Adda una striscia d’acqua, che talora si scopre, talora si nasconde. E’ il Naviglio colle sue conche che, in mezzo a quello spettacolo tutto di natura, ti parlano eloquenti del genio dell’uomo.”

L’autore prosegue parlando della storia del naviglio e delle conche, poi riprende: “La piena dell’Adda toccava quel giorno, come ho già accennato, anzi superava la massima ordinaria. A terreno i mulini erano inondati, e le porte convertite in fiumi. La lapide marmorea incastrata nel muro dell’edifizio ci diceva per altro che quella piena rimaneva ancora circa due metri e mezzo al disotto di quella eccezionale del 1868, la maggiore, se non erro, di cui si abbia memoria. Però, come dico, l’Adda era gonfia, proprio vestita per le feste. La massima parte delle acque, superata la diga, precipitava a cascata, disegnando un gran cordone bianco attraverso il fiume. Con questo primo salto comincia quella rapida spaventosa, tutta irta di scogli, per cui l’Adda si precipita da una altezza di quasi 28 metri senza mai avere pace, sopra la lunghezza che abbiam detto di 2 chilometri e mezzo. Si chiama la Tricorne, ed è qui dove si svolge l’ultima scena dell’annegata, commovente episodio del romanzo Margherita Pusterla di Cesare Cantù. L’acqua, che in questo punto si dipartiva dal fiume per correre il canale, vi si precipitava con impeto grande”.

Zona degli scaricatori del Naviglio

Lo Stoppani giunge nel punto in cui gli scaricatori del naviglio riversano la troppa acqua nel fiume, qualche decina di metri prima della conchetta, ecco la sua impressione: “Ritto sul ponte gettato sugli stessi scaricatori, coll’onda sotto i piedi orribilmente fremente, vedevo l’Adda buttarsi d’un salto dalle rupi, tutta d’un pezzo formando, benché poco alta, una vera cascata, a cui si opponeva, fieramente reagendo dal fondo, una cresta di marosi. L’acqua degli scaricatori, divisa in due belle cascate alte parecchi metri, la urtava di fianco. Quindi un turbinìo di spume ribollenti, un bianco polverìo di spruzzi come fitta nebbia, uno scompiglio, un fracasso indiavolato. Appiè di quella cascata si apre un vasto bacino dove il fiume si aggira rotando a spirale e disegnando un gran vortice tinto di tutte le gradazioni di bianco e di verde. Oltre quel bacino, altri salti, altri gorghi, altri scompigli. Ma se più dovessi fermarmi a descrivere, ripeterei per l’appunto troppe delle frasi e delle immagini già adoperate quando ho descritto la cascata del Reno. Un reduce dal Canadà, additando l’Adda agli amici in quel punto, diceva: – Questo vi dà un’idea del Niagara. – Non potrò dire io dunque che l’Adda in questo punto e il Reno presso Sciaffusa si assomigliano?”.

Durante il percorso lo Stoppani fa delle profonde riflessioni su ciò che lo circonda: “Quale contrasto tra il Naviglio a destra, dove l’acqua scorre così placida e piana, accarezzando e pettinando le alghe, che si rizzano oscillanti dal fondo, ignara affatto della guerra che succede all’imbocco; e il fiume a sinistra che freme e mugge buttandosi giù all’impazzata da salto a salto, tra scoglio e scoglio, formando un mare di gorghi e di spume! E’ mi pareva di veder da una parte il gran mondo , col suo fracasso, colle sue ire, co’ suoi tumulti, colle sue guerre; dall’altra il filosofo, l’asceta, che, tranquillo, silenzioso, appartato dal mondo, pensa, prega, lavora. Là quanto ha di ciò che più appare, di ciò che più mena romore, ma si risolve in una massa di spume; qui invece vi ha di più modesto, di più obliato o spregiato, ma che infine approda a vero bene e a tutto vantaggio dell’umanità.”

Grande masso di ceppo piatto che segna la fine della forra

In ultimo non si può tralasciare quanto scriveva Stoppani, 150 anni fa, sempre nel suo già citato libro, a proposito della nostra attitudine esterofila alla poca cura delle nostre bellezze; considerazioni non ancora smentite: “All’amor di patria si perdona ben altro. Non sapete del resto quante cose congiurano talvolta a farci ammiratori di un oggetto, mentre un altro somigliante, od anche più bello, non incontra che l’indifferenza e lo sprezzo? Il Reno, per esempio, spicca il suo salto, maraviglioso senza dubbio, quasi alle porte di una bella città, a fianco di una ferrovia, in mezzo ai palagi, ai comodi alberghi, a tutto quello che invita i forestieri ad accorrere ed a rimanere. L’Adda invece scorre solitaria nel suo letto, lontana da ogni centro popoloso, in mezzo al silenzio, in seno alla solitudine.. Il Reno, ammirato ogni anno da migliaja e migliaja di forestieri, ode in tutte le lingue del globo le sue lodi, ed ha a sua disposizione le cento trombe della fama: guide, giornali, fotografie che ne spandono il nome ai quattro venti. L’Adda non ascoltò forse mai altra lingua che quella che non è lingua, voglio dire il lombardo: non vede che i Lombardi, e pochi anche di questi. Vi ricordate quanti artifici furono suggeriti dall’amor del guadagno per accrescere le naturali attrattive della cascata del Reno? Invece qui, gallerie, ballatoi, padiglioni, tutto si riduce al sentieruzzo percorso dai cavalli che tirano le barche a ritroso della corrente. Non alberghi, non caffè, nemmeno una bettola là vicino ove sedersi a mangiare un boccone. Poi… poi sempre quell’idolatria delle cose forestiere, e quella noncuranza, quell’ignoranza delle cose nostrane, che sono una delle nostre magagne più grosse e più incurabili. L’Adda non è anch’essa un fiume maestoso? Se non salta ad un tratto da un’altezza di 19 metri, non rotola forse le sue spume giù giù per una china di 27 metri e più, sopra un corso di due chilometri e mezzo? L’Adda è gloriosa anch’essa di un’industria maravigliosa, forse più utile della trasmissione telodinamica, certo molto più antica, che rende testimonianza al genio degli abitatori delle sue sponde, a quel genio che splendeva come un faro in mezzo alle tenebre più fitte ond’erano involti altri popoli, ora così superbi di una tarda civiltà ch’ebbero a ufo, dopo che fu maturata da altri col lavoro pertinace di tanti secoli”.

Chissà cosa penserebbe oggi lo Stoppani, rivisitando “la rapida dell’Adda a Paderno”, vedendo il naviglio completamente in rovina, ma con un grandioso ponte in ferro, sopra al quale passa pure la ferrovia e con le centrali idroelettriche che avrebbero fatto concorrenza alla trasmissione telodinamica di Sciaffusa (trasmissione del moto a distanza tramite un cavo di acciaio che collega il rotore, mosso da una turbina, ad una puleggia e questa ad altri cavi per il movimento delle macchine dentro la fabbrica).

Dopo tutto questo, si sente ancora più forte il desiderio di veder valorizzato questo territorio con più lungimiranza, di propagandare le sue immagini e la sua storia millenaria affinché i cittadini del mondo ne possano beneficiare, con conseguente giovamento alla visibilità e all’economia di tutta la zona. Si auspica che questi beni possano, un giorno, diventare patrimonio dell’umanità. La perfetta descrizione che i tre personaggi hanno fatto dei nostri luoghi ci lascia stupefatti, consapevoli e orgogliosi di vivere in cotanta e meravigliosa bellezza.

 

 

 

                                                                                                    

home